mercoledì 29 febbraio 2012

Intervista al centro aniziani

Lunedì 28 novembre 3 ragazzi, che hanno partecipato alla realizzazione del Museo Agricolo, sono andati al Centro Anziani ad intervistare gli anziani per farsi spiegare come si viveva una cinquantina di anni fa.
In particolare hanno parlato con il Signor Giuseppe il Signor Abramo.
Hanno iniziato chiedendo come era la casa e quanti erano in famiglia: i due vivono in due case simili, con una cucina e una camera inoltre hanno detto ai ragazzi che in una cascina c'erano da 10 a 20 famiglie a seconda della grandezza.La famiglia invece era composta da 8 a 15 persone circa. Subito dopo, i ragazzi interessati, hanno chiesto quanto si lavorava al giorno e da che età: Giuseppe ha iniziato a 8 anni e lavorava da 12-16 ore al giorno, mentre Abramo ha iniziato a 9 anni e lavorava anche tutta la notte.
La mattina si alzavano alle 5:00, portavano le mucche a pascolare, alle 7:00 tornavano di corsa a casa per cambiarsi e andare a scuola. I maestri erano molto severi e, si ti compordavi male, ti picchiavano con una bacchetta.
I due signori hanno anche spiegato che il pasto più diffuso era la polenta e, a seconda delle risorse, si mangiava quel che si aveva (chi aveva le galline mangiava le uove, chi aveva le mucche beveva il latte ecc...) mentre gli operai dovevano andare a comprare tutto.
I ragazzi hanno chiesto poi come si viveva durante la guerra e Giuseppe ha detto che 1942 partì come soldato e nel 1943 fu deportato nei campi di concentramento.
Parlare con questi signori è stata un'esperienza molto interessante e piacevole.

Scritto da Giovanni Riviera e Paolo Ribola.

martedì 28 febbraio 2012

spettacolo teatrale: "Il bambino di Noè"

Lunedì 30 gennaio, alle ore 10, gli alunni della quinta elementari, di prima media e i rappresentanti della scuola media, sono andati al centro civico per vedere lo spettacolo “Il bambino di Noè”, interpretato da due (protagonisti): un pianista, che creava un sottofondo, e l’attore, che prendeva tutti i ruoli cambiando continuamente voce.
La storia è ambientata nel Belgio occupato dai nazisti nel 1943.
Il protagonista della storia si chiama Joseph.
“ogni domenica i ragazzi erano messi in “mostra” per coloro che volevano fare un’adozione…”
Questo è il punto da cui parte il racconto.
Joseph è uno tra questi ragazzi che erano orfani. È un ebreo.
Nessuno sceglieva mai Joseph.
Da qui il ragazzino inizia a raccontare la storia del proprio passato.
Egli viveva in pace, con la sua famiglia (madre e padre), quando arrivò il periodo della seconda guerra mondiale (1939, Joseph aveva 10 anni).
I nazisti tedeschi iniziarono a girare nel quartiere dove viveva Joseph.
Allora i suoi genitori sentirono l’esigenza di doverlo abbandonare; infatti in breve si allontanarono dal figlio lasciandolo da un Conte e una Contessa, all’insaputa del figlio.
Un giorno però dei poliziotti entrarono in casa dei conti, quindi la contessa decise di affidare Joseph ad un prete, Padre Fons.
Egli lo portò lontano, a villa Gialla, dove per prima cosa, grazie all’aiuto di una farmacista (una signore severa che odia gli ebrei), il prete creò una falsa carta d’identità per Joseph.
Il prete affidò il ragazzino a un ragazzo più grande, grasso e anch’egli un po’ contrario alla presenza degli ebrei.
I due ragazzi diventarono ben presto amici, dato che il “grasso” non conosceva la vera identità di Joseph.
Quest’ultimo, una notte vide Padre Fonsi allontanarsi dall’edificio dove proteggeva i bambini, infatti non sapeva più come sfamarli, aveva poco da dar loro.
Si accorse che andava in chiesa.
Joseph bussò ed entrò velocemente, pensando che il prete facesse attività di contrabbando.
Allora il prete ebbe coraggio di presentargli la cripta, parte nascosta dell’edificio dove il Padre aveva conservato scritture sacre della religione cattolica e libri e simboli di quella ebraica spiegò a Joseph che egli voleva comprendere i segreti della religione ebraica.
Con il passare del tempo, poi, Joseph iniziò a provare odio per il proprio padre, dato che i genitori lo avevano abbandonato.
Gli anni passavano.. un giorno Joseph vide una persona che pareva suo padre: era su un camion, portato via: il ragazzino, non sapendo che quello fosse il padre, e in parte per quell’odio che provava, non volle neanche gridargli di fermarsi.
Successivamente Joseph capì che la maggior parte dei bambini, che vivevano lì con lui, erano ebrei.
Un giorno, mentre tutti questi bambini si lavavano e il prete era in fondo alla stanza, arrivò un ufficiale tedesco.
Disse agli altri che non c’era traccia di ebrei e, prima di andarsene, regalò a padre Fonsi, dei soldi per comprare da mangiare ai bambini.
La dottoressa, invece, dopo essere stata arrestata e interrogata, si trovò in un campo di concentramento.
Una sera (1943) dei nazisti tedeschi giunsero nuovamente nel paese: volevano prendere tutti i bambini di Villa Gialla.
Padre Fonsi riuscì a convincerli di tornare la mattina dopo, all’alba; in questo breve tempo i bambini, guidati da padre Fons, riuscirono a nascondersi.
Alcuni entrarono subito nella chiesetta poco distante da Villa Gialla, altri, con padre Fonsi, andarono a fare delle impronte false che avanzavano verso il fiume, in modo tale da far credere ai nazisti che erano scappati.
All’alba i tedeschi arrivarono e, seguendo le false orme, pensarono appunto che fossero scappati e perciò lasciarono il luogo.
All’interno della chiesetta Padre Fonsi aveva poco da far mangiare ai piccoli e alcuni di essi morirono.
Alla fine della guerra i sopravvissuti con padre Fons, uscirono dalla chiesetta e anche la dottoressa che li aveva aiutati fu liberata.
Ogni domenica i bambini di loro che erano rimasti orfani, venivano presentati per chi avesse voluto adottarne uno.
Finalmente un giorno Joseph rivide sua madre, la abbracciò forte e poi chiese del padre: quest’ultimo, per salvare la vita della moglie e di altre 25 persone, era finito nei campi di concentramento; dissero però che era ancora vivo e che sarebbe arrivato da un giorno con l’altro, e così fu.
Joseph lo rivide dopo tanto tempo, in un ristorante: era molto dimagrito, affamato, seduto su una panca e mangiava in grande quantità.
Una volta che ebbe finito di mangiare, Joseph lo incitò a suonare il pianoforte.
Allora il padre cominciò a suonare e con le note raccontò la storia del campo di concentramento, suonò per sé stesso, e il padre lo sapeva che non c’erano parole per esprimere ciò che aveva provato nei campi di concentramento.